La corrente di cui al riferimento critico è l'informale, ma da esso D'Ambrosi, per come vedremo, ha tratto elementi interpretativi che si sono rivelati in linea con la produzione italiana, più che con il materismo, inteso come medium della corrente originaria dell'informel; mentre i luoghi riguardano non soltanto il rigoglioso ambiente di Napoli, in cui acquisisce nel 1951 il Premio Napoli, ma soprattutto la Città dello Stretto, Reggio Calabria, ove insegnando al Liceo artistico e successivamente divenendo titolare di cattedra all'Accademia di Belle arti della stessa città, ha modo di stringere un rapporto di amicizia e che presto diventerà vero e proprio sodalizio artistico con i colleghi Italo D'Auria, Luigi Malice ,Luca Monaco e Leo Pellicanò.
In questo contesto si assiste all'allargamento della concezione di D'Ambrosi, nella cui finalità è rintracciare, con il superamento delle ricerche decadentistiche e razionalistiche, l'affermazione di quei valori che l'avanguardia italiana e l'espressionismo tedesco avevano posto come salvaguardia dell'atto rispetto al fatto, ma anche come esplicita negazione dell'informalismo passivo e fine a se stesso. Partito infatti dalla traslazione emotiva della materia e perciò dall'evocazione di una figuralità in procinto di astrattizzarsi (il riferimento storico è l'acquerello anfibio del 1910 di Kandinsky), D'Ambrosi si avvia alla completa trasmutazione dello spazio fisico e fenomenico in quello interno, sicché i coaguli informi vengono trasformati in una realtà vivente, molto più vicina alla tensione lirica ed espressionista che al materismo informe e negatore di realtà "altre". E questo perché l'informel, ritenuto "vandalismo anarchico" (M. Calvesi), non poteva e non può essere accettato da una tradizione non regionale e proto-meridionale come quella espressa da Balla per i futuristi e da Franz Marc per gli espressionisti, a Roma come a Monaco, presto da Burri, ossessionato dai sacchi che gli ricordavano il campo di concentramento di "non cooperatori".
Luigi Tallarico